Sapere

Il caso Montesi
Wilma Montesi (1932-1953) fu una giovane ragazza romana di modeste ori­gi­ni, assassinata nell'aprile del 1953.
L'omicidio di Wilma Montesi è ri­mas­to irrisolto di cronaca nera che ebbe a suo tempo grande rilievo nei media a causa del coinvolgimento di numerosi personaggi di spicco nelle indagini successive al delitto.
La sua morte è stata il punto di partenza di una vicenda che portò tra l'altro alle dimissioni del mi­nis­tro degli esteri ita­lia­no e di un capo della polizia. Il nome e il destino di Wilma Montesi sono strettamente legati allo scandalo che ne seguì nell'ambiente della „Dolce Vita“ romana, che fu al centro dell'in­te­res­se del pubblico italiano negli anni 1950 e che fu uno degli eventi che ispirarono Fe­de­rico Fellini nel 1959 a girare il suo film „Dolce Vita“.
Sabato 11 aprile 1953, alla vigilia di Pasqua, fu ritrovato sul litorale romano di Torvaianica il ca­da­vere di Wilma Montesi, una bella ragazza romana. La ra­gaz­za non presentava segni esterni di violenza ed era parzialmente vestita. Non aveva più indosso le scarpe, la gonna, le calze e il reggicalze, i vestiti erano inzuppati d'acqua.

Il corpo venne portato presso l’Istituto di Medicina Legale di Roma, dove fu fatta l'autopsia: i medici affermarono in un primo tempo che la probabile causa della morte sa­rebbe stata una "sincope dovuta ad un pediluvio“, affermazione troppo gene­rica per non sollevare fin dall'inizio mille sospetti. L'ipotesi che si fosse suicidata o che fosse annegata in se­guito alla sincope non permetteva una spiegazione sufficiente, visto che parti importanti del vestiario (gonna, calze, giarrettiere, scarpe) non furono trovate.

Questo fatto di cronaca che al giorno d'oggi non in­teresserebbe i giornali per più di una settimana, suscitò a quei tempi una eco incredibile e vide chia­mati in cau­sa Capi della Polizia, questori e, soprattutto, Piero Piccioni (noto musicista Jazz, nome d’ar­te Piero Morgan), figlio dell’allora ministro demo­cris­tia­no Attilio Piccioni.

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Il ritrovamento sembrava essere destinato ad una rapida archiviazione: un semplice malore, un in­ci­dente, forse un suicidio. L'ipotesi del sui­ci­dio cadde dopo pochi giorni. L'ipotesi dell'incidente fu invece considerata attendibile dalla polizia, che chiuse il caso.
I giornali, invece, L'Espresso, il Corriere della Sera, Paese Sera, e piccole tes­tate scandalistiche come Attualità continuarono a mostrarsi scettici.

Il 4 Maggio il quotidiano monarchico na­po­le­tano Roma cominciò ad avanzare l'ipotesi di un complotto per coprire i veri assassini, che sarebbero stati alcuni potenti personaggi politici. Il 24 maggio del 1953 un articolo sul giornale co­mu­nis­ta Vie Nuove creò molto scalpore: Wilma Montesi sa­reb­be stata vista dieci giorni prima della sua morte a Torvaianica con il figlio di una nota per­so­nalità politica, più tardi identificata come Piero Piccioni, fidanzato di Alida Valli e figlio di Attilio Piccioni, Vicepresidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e massimo esponente della Democrazia Cristiana. La notizia suscitò clamore perché ven­ne pubblicata poco prima delle elezioni politiche del 1953.

Ad ottobre, il settimanale scan­da­lis­tico „Attualità“, diretto da Sil­vano Muto attacca l'indagine della polizia che avrebbe solo voluto proteggere qualcuno da un possibile scandalo. Muto sostenne che la ragazza sarebbe morta durante un’orgia avvenuta nella tenuta di Capocotta, poco distante dal luogo del ritrovamento; si sarebbe sentita male e due personaggi che Muto chiamò X e Y l'avrebbero scaricata sulla spiaggia, dove poi annegò. Muto im­pli­cò nell’episodio Piero Piccioni e il „marchese" Montagna.
Muto venne denunziato per la diffusione di notizie false e tendenziose. Con il processo Muto l'affare Montesi si allargò ancora e cominciò a coinvolgere tutto il paese. La gente faceva la coda per poter assistere alle udienze del processo. La polizia si sentì costretta ad allontanare la folla a manganellate.
Nel marzo del 1954 il tribunale di Roma sos­pen­de il processo contro Muto e (sembra su intervenzione di Amintore Fanfani, avversario politico di Piccioni) apre un'istruttoria formale sulla morte di Wilma Montesi.
Il magistrato della sezione istruttoria della Corte d'appello di Roma, Raffaele Sepe, cominciò le indagini processuali, esumando la salma della Mon­tesi e ordinando perizie e interrogatori. Il 19 set­tem­bre lo scandalo era tale che Attilio Piccioni si dimise da Ministro degli Esteri e da tutte le cariche ufficiali. Due giorni dopo, Piero Piccioni e Ugo Montagna furono arrestati, rispettivamente con l'accusa di omicidio colposo e di uso di stupefacenti il primo, e di favoreggiamento il secondo. Testimoni dell'accusa furono Adriana Bisaccia (che aveva raccontato di aver par­te­ci­pato con Wilma a un'orgia, che si sarebbe tenuta a Capocotta, non distante dal luogo del ri­tro­va­mento) e Moneta Caglio. Stando al rac­con­to della Bi­saccia, la Mon­tesi avrebbe assunto un quantitativo letale di droga e alcool, e avrebbe avuto un grave malore.
Il corpo esanime sarebbe stato trasportato da alcuni partecipanti all'orgia sulla spiaggia, dove fu ab­ban­donato. Secondo la Caglio, ex amante di Montagna, la Montesi sarebbe stata la nuova amante di Mon­tagna. Narrò di avere sentito una telefonata tra Montagna e Piero Piccioni, con quest'ultimo che chiedeva all'amico di ac­com­pa­gnar­lo da Tommaso Pavone, capo della polizia, perché gli stavano ad­dos­san­do la responsabilità della morte della ragazza.
Lo scandalo assunse dimensioni gigantesche e anche il questore di Roma, Sa­ve­rio Polito, venne ac­cusato di aver cercato di insabbiare tutto, per ques­tio­ni, ovviamente, politiche.
Il caso Montesi – sul quale la stampa italiana, divisa per appartenenza politica, diese il peggio di sé – si trascinò per oltre quattro anni.
Al processo Alida Valli depose in favore di Pic­cio­ni, confermando che i giorni precedenti il decesso della Montesi, Piero Piccioni era con lei a Ravello.
Il 27 maggio 1957 Tribunale di Venezia mandò as­solti con formula piena Piccioni, Montagna, Polito e altri nove imputati minori, rinviati a giudizio nel giugno 1955.
Il processo a Muto e alla Bisaccia per le accuse di calunnia si concluse con una condanna a due anni per il giornalista e a dieci mesi per la Bisaccia, con pena sospesa, per quest'ultima, grazie alla con­di­zio­nale. Anche la Moneta Caglio fu sottoposta a processo, e venne condannata a 2 anni nel 1966, in Cassazione.
Ancora oggi la morte di Wilma Montesi resta un mistero.
 
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